Game Of Thrones 4x06 "The Laws of Gods and Men"

14.05.2014 00:42

 “The Laws of Gods and Men” è stato, finora, l’episodio più bello della quarta stagione. Anche se il primato lo detiene l’episodio 2 per il Purple Wedding con la gloriosissima e agognata morte di Joffrey, questo è stato un episodio ben diretto e orchestrato alla grande.

 

L’episodio si apre con Stannis e ser Davos che devono convincere l’emissario della Banca di Ferro di Braavos a finanziare la guerra che Stannis sta portando avanti per la conquista del trono che gli spetta di diritto in quanto i figli di Cersei, essendo figli della relazione incestuosa tra lei e il fratello Jaime, non sono i veri eredi.

Nel frattempo, Yara Geyjoy, la donna con le palle di ferro, naviga per cercare di salvare suo fratello Theon dopo aver ricevuto una lettera e un macabro souvenir da parte del re dei sadici, Ramsey Snow. Ma il salvataggio non va come previsto: Theon non riconosce nella sorella una via di fuga e quindi di libertà e si ribella, ormai completamente immerso nell’identità di Reek, urlando fino a farsi sentire dal suo ormai padrone Ramsey che, come un bambino che si sveglia la mattina di Natale sommerso dai regali, non vede l’ora di iniziare a squartare gli uomini di ferro e la loro signora. Yara è costretta ad andare via prima di venire sbranata insieme ai suoi uomini dai cani di Ramsey e a lasciare lì suo fratello, ormai trasformato in un fantoccio senza identità.

Ramsey, che oltre ad essere un sadico psicopatico con un macabro senso dell’ironia è anche estremamente ingegnoso, ricompensa Reek/Theon per la sua fedeltà con un bagno caldo chiedendogli poi di fare qualcosa per lui assumendo l’identità di una persona che non è ovvero quella di Theon Greyjoy.

L’interpretazione di Alfie Allen in questa scena è stata assolutamente fenomenale, tant’è che chi, come me, ha odiato Theon per aver saccheggiato Winterfell e tradito gli Stark, sta provando un’immensa pena per quest’uomo che certo non meritava una fine del genere,  semmai solo le “innocue” torture iniziali. È riuscito ad interpretare lo stesso personaggio in una chiave diversa con una versatilità incredibile e devo dire che mi ha stupita non poco poiché Alfie non era tra i miei attori preferiti nel cast, ma ho dovuto ricredermi dopo questa serie di interpretazioni che hanno generato in me, come in tanti altri, una compassione smisurata per un personaggio che, in teoria, sarebbe stato molto difficile da perdonare.

Lasciando per un po’ Westeros, veniamo catapultati dall’altra parte del Narrow Sea, ad Essos, nella città di Mereen, dove Daenerys si diletta nei suoi primi doveri di regina ricevendo al suo cospetto le persone del popolo che hanno lamentele e/o favori da rivolgerle: da un povero pastore che ha perso il proprio gregge a causa dei suoi draghi ad un figlio di uno dei vecchi padroni fatti crocifiggere da lei stessa che chiede di poter tirare giù il corpo del padre per poter celebrare la sua morte secondo la tradizione, Daenerys capisce che essere essere regina a tutti gli effetti non è così semplice come ha ingenuamente pensato quando ha deciso di regnare e si ritrova ad affrontare un senso di colpa difficile da estirpare perché è il dovere di un sovrano  assumersi le responsabilità per la natura della giustizia scelta per punire un crimine.

Ma è a Westeros, a King’s Landing, che risiede l’evento cruciale dell’episodio, l’evento che ha dato vita a, forse, l’interpretazione migliore di Peter Dinklage, il processo a Tyrion Lannister per il regicidio di suo nipote Joffrey Baratheon.

L’accusa parte subito in quarta permettendo a molti di testimoniare contro Tyrion, giocando con le parole da lui dette contro Joffrey per farle passare come un complotto contro il Re. È chiaro che il verdetto sarà sicuramente in suo sfavore per cui Jaime, suo fratello, intercede per lui parlando con suo padre, Tywin, dicendogli che sarebbe disposto a tornare a Casterly Rock e mandare avanti il nome della famiglia sposandosi e avendo dei figli se avesse acconsentito a risparmiare la vita del fratello. Tywin acconsente, ma solo a condizione che Tyrion venga poi mandato a Castle Black per prendere il nero e diventare un Night’s Watch. Jaime acconsente, suo malgrado, pur di assicurarsi che il fratello rimanga in vita dopo il processo.

Le cose, però, non vanno come Jaime e Tywin avevano previsto: Tyrion non aspetta la fine del processo per reclamare pietà, non rimane zitto in un angolo ad ascoltare quelle false accuse che gli vengono rivolte contro anche dalla sua ex amante, Shae, ma si ribella usando l’unica arma in grado di poter disarmare e atterrire qualunque avversario, specialmente se questi i suoi stessi famigliari eretti a giudici infami della propria vita, e quest’arma è tagliente altro non è che la verità, cosa rara e poco spesso sentita, tra i muri di King’s Landing, da quando l’ultima volta Eddard Stark provò ad usarla, rimettendoci la vita.

Questa è la parte che ho preferito di tutto l’episodio, la rivincita di Tyrion a tutti gli insulti, i soprusi e le calunnie che è stato costretto a sopportare per tutta la sua vita solo per il fatto di essere nato nano. Prima di commentare, vorrei vedeste la scena perché l’interpretazione di Peter Dinklage è stata memorabile.

 

    https://www.youtube.com/watch?v=7Vf8_MF3t-U    

 

Dopo la testimonianza di Shae, Tyrion esplode in mille pezzi per poi ricomporsi in un altro uomo, un uomo arrabbiato, furioso, assetato di parole e di vendetta che non vuole far altro che tirare fuori tutto il veleno che gli è stato somministrato per anni e anni, da sua sorella, da suo padre, dalle persone lì intorno e metterle di fronte ai loro orrori, farli sentire come lui si è sentito per tutta la vita, un errore. E allora non c’è più ironia, non c’è più il sarcasmo che lo caratterizzavano, ma solo furia e verità:

 

“È tutta la vita che sono sotto processo per il fatto di essere un nano.”

 

Questa è la confessione che fa Tyrion dopo aver chiesto il permesso di ammettere la sua colpa, ovvero quella di essere un nano.

Come lui dice, infatti, sin dall’infanzia, ha dovuto rispondere a delle colpe non sue per il semplice fatto di essere nato, di esistere. Abbandonato a se stesso già in tenera età, Tyrion è cresciuto da solo con l’unica compagnia dei libri e delle prostitute a riempire quel vuoto di dolore che si allargava man mano negli anni, diventando sempre più solido e spregiudicato, senza dare opportunità di redenzione. E, per questo, vale la pena vedere questa parte e assaporare ogni singola parola del suo discorso:

 

“Mi avete fatto dispiacere di non essere il mostro omicida che vorreste che fossi. Vorrei avere abbastanza veleno per annientarvi tutti! Darei la mia vita con estremo piacere per vedervi tutti buttare giù quel veleno! Sono innocente, ma non troverà giustizia qui dentro. Quindi non mi lasciate altra scelta che appellarmi agli dei. Io chiedo un verdetto per singolar tenzone.”

 

Sul volto di Jaime di stende un velo d’orrore, Oberyn Martell pare più curioso che mai, Tywin Lannister furioso e spiazzato allo stesso tempo e Cersei, con la sua solita rabbia contenuta, è il volto dell’odio. Lo schermo si riempie del volto di Peter Dinklage, di Tyrion Lannister, il nano che si erge al di sopra di tutti e fa del proprio dolore un punto di forza, un’arma che pochi sono capaci di maneggiare a proprio favore perché, come disse tempo prima a Jon Snow:

 

Allora lascia che ti dia qualche consiglio, bastardo. Mai, mai dimenticare chi sei, perché di certo il mondo non lo dimenticherà. Trasforma chi sei nella tua forza, così non potrà mai essere la tua debolezza. Fanne un'armatura, e non potrà mai essere usata contro di te.”

 

                                                     Lorenza Bucci

A

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